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Deposito Nazionale dri Rifiuti Radioattivi: Il paradosso idrogeologico della Tuscia

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Con questa breve nota tecnica, vorrei approfondire le motivazioni di carattere idrogeologico che giustificano l’opposizione alla realizzazione del Deposito Nazionale per TUTTI e 21 i siti della Tuscia giudicati idonei da Sogin e successivamente validati dal MASE. Sui molteplici altri motivi (economici, sanitari e sociali), potete consultare i numerosi interventi riportati su questo sito.

Partiamo da una semplice considerazione: i tempi minimi di decadimento dei rifiuti radioattivi a bassa attività, sono nell’ordine delle centinaia di anni. Quindi prendiamo in esame la situazione meno grave (per quelli ad alta attività che verranno conferiti nello stesso Deposito si arriva sino alle migliaia di anni). Questo significa che una eventuale perdita di sostanze radioattive (che non possiamo escludere a priori, come è lecito considerare per qualsiasi attività umana), queste rappresenteranno una vera e propria mina vagante, un rischio concreto per l’ambiente e la salute umana, per tutto questo enorme lasso di tempo.

Non potendo escludere al 100 % la possibilità di un incidente di questo tipo, le regole che erano state fissate dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), per selezionare su tutto il territorio italiano le aree idonee ad ospitare il Deposito, avevano tenuto conto della necessità di assicurare una “barriera naturale”, oltre a quella “tecnologica” (garantita dalle modalità di costruzione dell’involucro che conterrà i rifiuti). Ne consegue che uno dei Criteri di Esclusione (CE) utilizzati per scartare ampie fette di territorio, era stato giustamente considerato l’eventuale presenza di risorse idriche (Criterio di Esclusione 14 della Guida Tecnica n.29). Non solo: in una seconda fase di scrematura delle aree idonee, sono state introdotti a cascata anche dei Criteri di Approfondimento, ed uno di questi, il n.8, parla esplicitamente della presenza di punti di captazione (sorgenti e pozzi) ad uso idropotabile e di aree di ricarica degli acquiferi. Quindi, è sufficiente che sotto l’area studiata ci sia un acquifero, che alimenta sorgenti e pozzi, per renderla inidonea. Infatti, se riprendiamo il concetto di tempo di decadimento, è palese che questi siano di gran lunga maggiori di quelli di trasferimento dei materiali radioattivi dal Deposito alla falda freatica: senza arrivare alle situazioni palesemente catastrofiche, dove addirittura (come espressamente dichiarato dalla stessa Sogin) la falda è affiorante, anche considerando le condizioni di maggior tutela, ovvero laddove le risorse idriche saranno alla profondità massima (poche decine di metri), i tempi di migrazione dei radionuclidi in falda saranno di poche settimane.

Facendo un ragionamento al contrario, potremmo approssimativamente stimare quale dovrebbe essere la profondità minima delle risorse idriche, tale da garantire tempi di infiltrazione dalla superficie alla stessa nell’ordine dei 300 anni (ovvero il tempo di attività dei rifiuti che saranno definitivamente stoccati nel Deposito). Questo ovviamente se partiamo dalla condizione più sfavorevole, ovvero assenza di qualsiasi formazione geologica impermeabile che impedisca il raggiungimento dell’acquifero profondo. Ebbene, dovremmo avere una profondità della risorsa idrica di parecchi Kilometri. Tanto per avere un parametro di raffronto, si consideri che i tempi di transito delle acque termali del Bacino Viterbese, provenienti da serbatoi geotermali posti a parecchie centinaia di metri, sono stati stimati in circa 40 anni, quindi tempi di percorrenza di gran lunga inferiori a quelli necessari per avere un abbattimento della radioattività .

Di fronte a tali evidenze scientifiche è ovvio che ISPRA ha sin da subito deciso di escludere tutte le aree che presentino risorse idriche nel sottosuolo.

Sin qui penso ci sia poco da obiettare. Eppure Sogin e, cosa ancora più grave, il MASE, che ha validato le aree idonee, ha ignorato questa regola. C’è da chiedersi se, in entrambi i casi, siamo incappati in quel 33 % di italiani analfabeti funzionali, incapaci di comprendere un testo scritto ! A rendere quantomeno inquietante la vicenda, è il fatto che nelle stesse relazioni tecniche prodotte da Sogin, si scrive nero su bianco della presenza di risorse idriche e di sorgenti pubbliche.

Va perciò detto senza giri di parole che Sogin ed il MASE non hanno rispettato le regole imposte dall’arbitro ISPRA. Sono certo che, se la verifica delle analisi condotte da Sogin fosse stata affidata alla stessa ISPRA (cosa del tutto plausibile, essendo l’arbitro del procedimento) , il mancato rispetto di questa norma sarebbe stato rilevato immediatamente.

Di fronte alla consueta obiezione dei non addetti ai lavori (categoria alla quale si spera non facciano parte i tecnici della Sogin e del MASE) sul fatto che, se teniamo conto di questo criterio di esclusione, in Italia allora non avremmo nessuna area idonea, basta far osservare che in realtà ci sono tantissime aree dove invece non ci sono acquiferi produttivi sino a notevoli profondità, per la presenza di spessi pacchi di terreni argillosi impermeabili. Ma il punto è un altro: se ISPRA ha ritenuto opportuno inserire questa norma, un motivo ci sarà (ovvero la garanzia della “barriera naturale”), perché se a questo punto il CE14 è carta straccia, allora rimettiamo tutto in discussione, non prendiamo in considerazione nessuno degli altri criteri ed ogni zona d’Italia diventa magicamente idonea.

Di fronte alle giuste obiezioni presentate da tantissimi esperti (tra i quali il sottoscritto) su questo punto specifico, Sogin ha risposto garantendo analisi di approfondimento nelle fasi successive. La cosa paradossale è che queste, come ribadito dal recente Rapporto Preliminare per definire la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), saranno avviate solo sulle aree idonee che hanno manifestato interesse e siccome nessun territorio si è autocandidato, le indagini di dettaglio non si faranno da nessuna parte. Non è chiaro quindi come il MASE intenda procedere per un ulteriore scrematura delle aree, necessaria per individuar l’unico sito adatto ad ospitare il Deposito Nazionale.

Antonio Menghini
Senior Geophysicist