La sfida all’alba di una nuova Europa “Green” .
Lo sviluppo economico della Tuscia è tradizionalmente legato ai settori della agricoltura e del turismo. Le peculiari condizioni geografiche della provincia di Viterbo, sostanzialmente esclusa dai grandi assi viari e ferroviari nazionali oltre da scali aeroportuali di rilievo, e la scarsa densità di popolazione hanno storicamente scoraggiato l’insediamento di siti industriali di rilievo nazionale.
Una eccezione va fatta per gli insediamenti costieri, o almeno per alcuni di essi, Montalto di Castro e Civitavecchia, dove la presenza di servizi stradali e portuali efficienti ha da tempo reso appetibili questi comuni per l’insediamento di attività industriali, tradizionalmente legate esclusivamente alla produzione di energia elettrica. Sono così sorte a Montalto e a Civitavecchia due fra le più grandi Centrali elettriche d’Italia, la prima, almeno inizialmente policombustibile, la seconda alimentata a carbone. La Centrale di Montalto è oggi in fase di declino produttivo e di smantellamento dei gruppi policombustibili, relegando la produzione ad una marginale attività dei gruppi turbogas, mentre la centrale di Civitavecchia continua la produzione con una tecnologia da considerare ormai obsoleta, in relazione all’impatto sull’ambiente e non più sostenibile in relazione agli standard attuali e alle direttive internazionali che indicano nella decarbonizzazione una delle fondamentali tappe per l’abbattimento della CO2.
Meritevolmente l’industria della produzione di energia negli ultimi anni si è rivolta allo sviluppo delle fonti rinnovabili e nella Tuscia sono sorti grandi impianti di fotovoltaico, che hanno consentito la produzione di significative quote di energia pulita. In particolare Montalto di Castro ospita complessivamente uno degli insediamenti di produzione di energia da fotovoltaico fra i più grandi d’Italia, con un consumo di territorio che sta raggiungendo livelli di guardia. Allo stato attuale oltre 1200 ettari su 18.900 del territorio comunale, sono sede di impianti fotovoltaici.
In sostanza lo sviluppo industriale della Tuscia è legato quasi esclusivamente ad una imprenditoria monocorde, legata esclusivamente alla produzione di energia, che notoriamente non comporta vantaggi economici sostanziali alla economia locale. Si tratta di impianti gestiti dai più grandi concessionari nazionali o da imprese private di medie dimensioni, non appartenenti al territorio, ma con sedi extraterritoriali. Anche l’indotto è sostanzialmente povero: al di là delle opportunità consentite nella fase di realizzazione degli impianti, e comunque destinate prevalentemente a imprese specializzate non presenti nel territorio viterbese, la gestione degli impianti ha sempre ripagato molto marginalmente le popolazioni locali, sia per la scarsa necessità di addetti a impianti che producono passivamente il prodotto energetico, sia per la scarsità di personale specializzato in sede. Gli unici vantaggi economici sono rilevabili per i proprietari terrieri che hanno trasferito le proprietà per la realizzazione degli impianti e per le imprese che ne gestiscono l’attività. A parte vanno valutati i compensi ai comuni interessati, regolati da specifiche convenzioni, volti a bilanciare i disagi correlati al funzionamento dei grandi impianti di Civitavecchia e Montalto e che comunque non incidono direttamente sulla economia locale, se non quando siano utilizzati per iniziative concretamente utili allo sviluppo distrettuale.
Questa monocorde linea di sviluppo industriale, che poco ha apportato alla economia reale delle popolazioni interessate, non consentendo una occupazione minimamente significativa di personale residente e nessun vantaggio economico se non per via indiretta attraverso le prebende a favore dei Comuni, ha però influito negativamente sugli unici settori trainanti dell’economia locale basata su turismo e agricoltura. Infatti, sul versante del turismo ancora oggi, limitatamente al comune di Montalto di Castro, si fatica a cancellare l’immaginario di un sito nucleare ancora forte nella percezione dei non residenti, tanto che è stato necessario nel tempo apporre indicazioni attestanti che il sito era denuclearizzato, pur non essendolo mai stato. Ma tale fu l’impatto mediatico della costruzione mai terminata della centrale nucleare che cancellarne l’immagine lascia ancora oggi residui difficili da eliminare. La vituperata riconversione della mai nata centrale nucleare nella più potente centrale policombustibile d’Italia, non migliorò la situazione imponendo una costruzione di pessimo impatto visivo sulla costa, in analogia alla quasi gemella di Civitavecchia, e un tasso di inquinamento, almeno fin quando funzionò a pieno regime, che coniugato a quello di Civitavecchia ha nuociuto anche alla vocazione turistica della costa altolaziale.
Soltanto gli sforzi notevoli dei piccoli imprenditori turistici ha arginato l’impatto negativo di questi giganteschi insediamenti, salvando un’immagine e una realtà economica che per natura trova difficoltà a competere con gli innumerevoli siti turistici di pregio di cui l’Italia è ricca e che storicamente è sempre stata poco aiutata da iniziative governative. Grazie agli sforzi individuali di questi addetti al settore turistico progressivamente si sono guadagnate posizioni e attualmente nel confronto fra i siti turistici del Lazio, Bolsena e Montalto di Castro sono riuscite ad entrare nel novero delle cinque località a maggior afflusso turistico.
Anche il settore agricolo ha risentito dell’impatto degli insediamenti energetici, pur se marginalmente rispetto a quello turistico, e nel tempo intelligentemente ha progressivamente diversificato le produzioni sia nella scelta delle colture che nella conversione al biologico e nel potenziamento dell’offerta aziendale, includendo una conversione diffusa alla ricettività agrituristica.
È giusto riconoscere che è in corso un adeguamento dei megaimpianti energetici di Montalto e Civitavecchia a tecnologie di minore impatto ambientale, con riconversione alla utilizzazione del gas e alla decarbonizzazione, fattori che finalmente contribuiranno al miglioramento dell’ecosistema e opportunamente pubblicizzati renderanno favore al settore turistico e agricolo. Fatto questo che eliminerà anche l’esecrato ricorso dell’ENEL all’acquisto di “crediti di emissione”(CER - Certified Emission Reductions) per comprare il diritto di inquinare oltre i limiti nell’alto Lazio, tutto a danno delle popolazioni locali, con compensazioni a livello planetario. Un esempio eclatante di questa discutibile pratica è rappresentata dall’investimento da parte dell’Enel in un progetto di distruzione di ingenti quantitativi di Hfc-23, un potentissimo gas serra, prodotto dalla cinese Limin Chemical Co. per poter compensare l’eccesso di emissione dalla Centrale di Montalto che nel 2009, anno di riferimento, aveva immesso in atmosfera oltre un milione di tonnellate di CO2.
Si tratta di una insensata politica, ipocritamente gestita e giustificata a livello planetario, ma concretamente e cinicamente perversa a livello locale.
Ma, se da un lato i responsabili della produzione di energia hanno sentito il bisogno, oppure sono stati costretti dai fatti, a riconvertirsi a tecnologie di minore impatto ambientale, le loro mire sul territorio viterbese, ed in particolare su quello di Montalto, non tendono ad allentare la morsa.
L’ultima iniziativa riguarda la realizzazione del Deposito Nazionale del Rifiuti Radioattivi per stoccare scorie radioattive derivanti da attività industriali e dalla dismissione delle centrali neucleari italiane.
Si tratta della costruzione di un deposito di dimensioni gigantesche: occuperà 150 ettari, di cui 110 dedicati allo stoccaggio dei rifiuti radioattivi e 40 alla realizzazione di un parco tecnologico, destinato alla studio di argomenti correlati .
Il deposito rappresenterà l’area di maggiore stoccaggio presente sul territorio nazionale e sarà in grado di ospitare 78.000 mc di rifiuti radioattivi a bassa o molto bassa attività, con un decadimento del potenziale radioattivo in un arco di 300 anni.
Il deposito ospiterà anche un sito, Complesso Stoccaggio Alta Attività (CSA), per lo stoccaggio per un lungo periodo di 17.000 mc di rifiuti a media e alta attività, includenti rifiuti provenienti dall’estero o non riprocessabili, il cui decadimento è previsto in migliaia di anni.
In sostanza si tratta di un giacimento di materiale radioattivo di proporzioni enormi, costituito da materiale radioattivo eterogeneo sia a bassa che alta radioattività le cui dimensioni sono assimilabili ad un edificio di volume pari ai 2/3 del Colosseo.
La scelta dei siti idonei realizzata dalla Sogin include 67 aree in tutto l territorio nazionale, di cui 22 nella sola provincia di Viterbo. Alla luce del sistema di scoring adottato da SOGIN , 12 aree sono risultate in classe A1 -molto buone- cioè le più adatte ad ospitare l’impianto; 11 sono state valutate in classe A2-buone-.
Ben sette delle 12 aree dell’intero territorio nazionale giudicate più favorevoli all’insediamento fanno parte della Provincia di Viterbo: 5 in classe A1 e 2 in Classe A2 .
Di queste sette identificate nella Provincia di Viterbo, quattro ricadono nel solo Comune di Montalto di Castro: 3 in classe A1 e 1 in classe A2
In particolare due ricadono interamente nel Comune di Montalto di Castro , identificate con le sigle VT 8 e VT 36, mentre le ulteriori due, identificate con le sigle VT 24 e VT 27, si collocano contemporaneamente nel territorio di Montalto di Castro e in quello di Canino.
In sostanza, quando si tratta di nucleare, la scelta privilegiata cade sempre sul territorio della Tuscia.
SE questo progetto dovesse andare in porto e dovesse mai ricadere nel territorio della Provincia di Viterbo, dove il Comune di Montalto è il maggiore indiziato, le ricadute sarebbero seriamente preoccupanti, sia per l’impatto sulla salute delle popolazioni che per l’impatto sull’economia.
Riguardo all’impatto sulla salute valgono pochi ed estremamente significativi dati: l’ultimo report epidemiologico sulla incidenza di tumori nella Provincia di Viterbo, desunto dallo specifico Registro Tumori provinciale, denuncia una situazione altamente preoccupante. Infatti, per 10 forme di neoplasie maligne la Provincia di Viterbo, ed in particolare il distretto A includente Montalto di Castro e Tarquinia, oltre che Canino, Tuscania, Montefiascone, Bagnoregio,Bolsena ed altri Comuni, presenta dati di incidenza superiori alla media nazionale, identificando l’area come una zona ad alto rischio per forme tumorali maligne. In particolare quelle riscontrate risultano correlate all’ecosistema territoriale, nel quale trovano un ruolo sinergico gli inquinanti delle centrali elettriche, il radon naturalmente presente in quel distretto a livelli fra i più alti in Italia e significativamente superiori alla media europea, i pesticidi e i fertilizzanti utilizzati in agricoltura, l’arsenico in eccesso nelle acque potabili, per citare i più importanti e riconosciuti fattori di rischio. Il problema è stato recentemente sollevato anche dall’Ordine dei Medici della Provincia di Viterbo che ha prodotto un documento in cui “esprime ferma contrarietà all’individuazione nella provincia di Viterbo di siti per lo stoccaggio depositi di scorie radioattive a bassa, media ed alta intensità “.
È inoltre evidente che realizzazione del Deposito Nazionale sferrerà un ulteriore colpo alla precaria economia legata al turismo e all’agricoltura. È facilmente intuibile che la realizzazione del Deposito Nazionale non porterà bene al turismo: se ancora si fa fatica a far capire che a Montalto il nucleare non c’è mai stato e che la centrale nucleare non è mai stata finita, figuriamoci cosa potrà accadere se quella gigantesca opera di stoccaggio fosse realizzata. Il danno conseguente sarebbe tempestivo, già oggi solo ventilarne l’ipotesi porta conseguenze negative, e riguarderebbe non solo tutte le forme di turismo, dal tradizionale all’agriturismo, ma rischierebbe di coinvolgere anche la vicina Capalbio, dato che due dei siti più papabili sono al confine più stretto con il più apprezzato ed elitario comune, in campo turistico, del basso Grossetano.
Parimenti un duro colpo sarebbe inferto alle attività agricole del distretto alto-laziale, dove gli sforzi degli agricoltori più preparati hanno portato ad una conversione al biologico del 38% dei terreni agricoli, dato riportato dalla stessa Sogin, e alla diversificazione delle colture, alcune delle quali hanno conquistato, a prezzo di grandi sacrifici anche economici, marchi di qualità e di specificità di origine riconosciuti ed apprezzati, come ad esempio la coltura dell’asparago e la produzione di olio di oliva di eccellenza .
La realizzazione del Deposito Nazionale fatalmente metterebbe in crisi questo settore di eccellenza del distretto, faticosamente difeso e in fase di riqualificazione finalizzata alla competizione sia in ambito nazionale che internazionale.
I dati qui riportati dimostrano come sia difficile per la Tuscia, stante l’attuale situazione e in vista di possibili ulteriori iniziative nel settore energetico, poter raggiungere un equilibrio accettabile fra settori produttivi fra di loro spesso confliggenti e ambiente e salute.
Si tratta di un problema che progressivamente sta investendo tutto il territorio nazionale, basti analizzare le numerose vertenze che insorgono in varie regioni in relazione alle proposte di insediamenti industriali o comunque connessi alla produttività economica come ad esempio la TAP, la TAV, la riqualificazione dell’ILVA, per riportare i casi più discussi. Si tratta di situazioni di difficile soluzione in cui i conflitti di interesse sono molteplici e le discipline di riferimento incerte.
Nell’ambito della Provincia di Viterbo il problema si comincia a proporre anche per attività apparentemente meno incidenti dal punto di vista ambientale come la realizzazione di impianti fotovoltaici. Si tratta di iniziative sicuramente meritevoli di favore, purchè anch’esse siano realizzate nei limiti di tolleranza dei distretti in cui ricadono. Del tutto recentemente è stata emessa una sentenza dal TAR del Lazio, che vedeva contrapposti il MIBAC e una società privata che proprio sul territorio di Montalto intendeva realizzare un ulteriore impianto fotovoltaico di oltre 1 milione di mq. La sentenza è stata favorevole al MIBAC e, al di là degli ulteriori ricorsi di rito, focalizza l’attenzione su un aspetto che finora appare ignorato. Al di là dei nobili scopi correlati alla realizzazione di impianti di energie rinnovabili, va infatti comunque analizzato il problema degli insediamenti produttivi e della loro estensione in rapporto ai territori in cui ricadono. Il fatto che la realizzazione di impianti fotovoltaici, non inquinanti in atmosfera, sia attualmente fra i più ecologici mezzi di produzione energetica non esclude che se ne valutino i limiti. Questi riguardano l’entità del consumo territoriale, specie se avviene a scapito di terreni a valenza produttiva, come quelli agricoli, l’aspetto paesaggistico, e se del caso l’interferenza con insediamenti di valenza storico-culturale.
Con il progredire della coscienza ecologica e della necessità di rispondere anche ai limiti logici di uno sviluppo sostenibile, appare sempre più evidente e necessaria una regolamentazione specifica, che guidi con buon senso verso le scelte strategiche nel campo dello sviluppo economico. Il tema, fortemente sentito anche a livello della Comunità Economica Europea, sta inducendo ad una creazione di principi e regolamenti che porranno limiti corretti e ragionati alle pulsioni espansionistiche di settori produttivi spesso troppo liberi di agire svincolati da sicuri indirizzi di riferimento. Le prime e concrete iniziative in questo senso sono ormai evidenti anche nel nostro sistema politico che in queste ore si sta uniformando al nuovo trend europeo nella programmazione di uno sviluppo economico più ecologicamente sostenibile. Infatti la istituzione del nuovo “Ministero della Transizione Ecologica”sarà il mezzo più consono per poter innescare l’inizio di un nuovo modo di programmare le nuove attività produttive, nel rispetto dell’ambiente oltre che delle necessità economiche, e la garanzia per poter accedere ai fondi europei del Recovery Fund, che prevedono sia destinato al “green”il 37% dei fondi stanziati per la ripresa.
Per il prossimo futuro è auspicabile che le iniziative finalizzate all’insediamento di attività produttive nella Tuscia siano calibrate nella maniera più corretta all’ecosistema vigente e in ragionevole equilibrio con l’assetto sanitario, sociale ed economico esistenti.
La sfida più vicina è rappresentata dal rischio di realizzazione nella Provincia di Viterbo del Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi: sarà questo un campo di prova per testare se i progetti governativi in materia di tutela ambientale e l’operato del nuovo Ministero della Transizione Ecologica sapranno fornire risposte concrete e razionali alle indicazioni della Comunità Economica Europea.