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IL DEPOSITO NAZIONALE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI: UN CENTRO DI STOCCAGGIO INSICURO”PER LEGGE”

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La legge 31 del 2010 ha sancito l’inizio di una nuova impresa nel campo del nucleare italiano: quella dello smaltimento delle scorie radioattive.

Sono ormai trascorsi undici anni da quell’incipit piuttosto confuso per il quale il progetto doveva riguardare un parco tecnologico che contenesse un deposito di rifiuti radioattivi, salvo invece trattarsi di una realtà del tutto capovolta.

Ma le distorsioni sul tema erano ben altre e riguardavano un aspetto fondamentale: quali scorie dovevano essere accolte in quel deposito Nazionale, che sarebbe diventato l’unica sede di stoccaggio su tutto il territorio italiano e deputato ad accogliere tutte le scorie prodotte  in Italia.

Uno dei punti cruciali del problema era ed è rappresentato dalla qualità dei rifiuti radioattivi da collocare nel deposito (DN PT).

Al di là delle revisioni sulla classificazione delle scorie radioattive prodotte sia da enti internazionale come la IAEA che nazionali come l’ISPRA, tese a distinguere in maniera specifica tipologia e qualità dei rifiuti, il fatto concreto è che nel Deposito Nazionale si prevede siano accolte tutte le tipologie di scorie radioattive, comprese quelle ad alta attività.

La consapevolezza che questo accadrà, o dovrebbe accadere, nell’ambito del Deposito Nazionale corredato del suo bel Parco Tecnologico, non è stata immediatamente percepibile dalla lettura delle leggi e delle normative che nella fase iniziale del 2010 hanno accompagnato la progressiva attuazione dell’ambizioso progetto. Dalla disamina della documentazione legislativa e normativa si evince una forte ritrosia del legislatore a pronunciare la parola”scorie ad alta attività”  con un ricorso ad artificiose circonlocuzioni per velare di fatto la presenza di un centro di stoccaggio di rifiuti ad alta attività, mediante la introduzione del concetto di Parco Tecnologico, che soltanto dopo il 2014, successivamente alla pubblicazione del Programma Nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi, si capirà dovesse contenere in qualche nodo una sezione dedicata allo stoccaggio del materiale ad alta attività.

Dalla analisi complessiva della documentazione si evince che in realtà il vero obbiettivo era quello di stoccare il materiale ad alta attività. Questo è infatti il vero problema, mondiale, della gestione dei rifiuti radioattivi. Si tratta di materiale attivo per decine di migliaia di anni, con emissioni anche superiori a quelle rilevabili nelle centrali nucleari in fase di attività, per la cui gestione  l’avanzato mondo occidentale non ha ancora trovato soluzioni sicure. 

La IAEA ha prodotto la classificazione dei rifiuti radioattivi, guida per tutte le classificazioni adottate a livello internazionale. Per la gestione dei rifiuti ad alta attività,  HIGH-LEVEL WASTE (HLW) , questo Ente prevede che:”....deep geological disposal is necessary, in stable geological formations, and with the additional use of multiple engineered barriers to try to ensure that the chances of radioactivity returning to the biosphere are extremely low. “

Inoltre la stessa IAEA  per la gestione dei rifiuti ad attività intermedia INTERMEDIATE-LEVEL WASTE (ILW) raccomanda che “..disposal at depths of between a few tens and a few hundreds of meters below ground in sites where natural geological barriers and engineered barriers have the potential to achieve long periods of isolation from the surface environment”.

“The World Nuclear Waste Report -2019” dopo una approfondita analisi del problema della gestione dei rifiuti nucleari a livello mondiale sintetizza lo stato dell’arte riguardo alla gestione dei rifiuti radioattivi nel mondo  nei seguenti termini:

  • No country in the world has a deep geological repository for spent nuclear fuel in operation. Finland is the only country currently constructing a permanent repository.
  • Despite multiple failed selection procedures and abandoned repositories, a preference for geological disposal remains. There is a strong consensus that the current state of research and exchange with civil society is inadequate for the challenges faced.
  • With deep geological repositories not available for decades to come,
    the risks are increasingly shifting to interim storage facilities which are running out of capacity

In definitiva per i rifiuti radioattivi ad alta e media attività, al di là dei sottili distinguo circa la tipologia dei rifiuti a media attività, è rappresentato da depositi geologici di profondità attualmente inesistenti a livello mondiale fatta eccezione per il costruendo deposito finlandese.

A fronte di queste precise indicazioni e raccomandazioni la Sogin, deputata a gestire in Italia il problema dei rifiuti radioattivi, e impegnata sulla base della stessa legge 31/2010 a tenere conto delle linee guida Internazionali della IAEA e nazionali dell’ISPRA, ha pensato bene di risolvere il problema realizzando un unico deposito nazionale nel quale concentrare tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli ad alta e media attività, pur nella consapevolezza che le guide Tecniche di riferimento, la Guida Tecnica 29 dell’ISPRA e la SSG 29 della IAEA, riguardano esclusivamente i rifiuti a bassa attività e al massimo quelli ad attività intermedia ma di breve vita.

La Sogin di fronte alla evidente discrepanza esistente fra necessità di dover  stoccare materiale radioattivo classificabile come HLW e obbligatorietà a rispettare le linee guida internazionali e nazionali ha pensato bene di risolvere il problema con una invenzione geniale: il Deposito Nazionale accoglierà una sezione deputata allo stoccaggio temporaneo di lunga durata delle scorie ad alta attività.

Con questa definizione intende di fatto riconoscere, e non potrebbe essere altrimenti, che il DN PT non può che essere un rifugio temporaneo per scorie ad alta e media attività, perché i requisiti di sicurezza di cui disporrà non sono idonei a garantire la sicurezza nello stoccaggio di detto materiale.

Inoltre, per meglio indorare la pillola, la Sogin in tutta la documentazione pubblicata non si esime dal reiterare ossessivamente la irrilevanza ambientale della contaminazione e l’assenza di rischi di dispersione ambientale di radioattività, fatti peraltro non solo messi in discussione dalla letteratura mondiale sull’argomento, ma contrastanti anche con la necessità, indicata per legge, della “compensazione” per le popolazioni che subiranno il deposito, tesa ad alleviare per quanto possibile il danno socio-economico ma di fatto fondamentale per far digerire i rischi per la salute e l’ambiente connessi alla presenza di un deposito di fatto insicuro.

D’altra parte se davvero i manufatti di contenimento del materiale ad alta attività previsti da Sogin fossero così sicuri perché non lasciarli nelle sedi di stoccaggio esistenti?  Il danno per nuove eventuali sedi sarebbe di fatto annullato, il rischio sarebbe non concentrato ma distribuito in più siti e frazionato, il costo della operazione risulterebbe fortemente diminuito grazie al fatto che non si dovrebbero effettuare per 40 anni trasporti di materiale radioattivo nel DN PT, eventi di per sé   pericolosi e connessi ad una serie di rischi conseguenti. Un ulteriore vantaggio sarebbe rappresentato dal fatto che se mai dovesse materializzarsi, come spera Sogin , un deposito europeo geologico di profondità si risparmierebbe un ulteriore estenuante e prolungato viaggio di ritorno, oltralpe, del materiale improvvidamente stoccato probabilmente al centro Italia.

Dalla disamina della documentazione legislativa che ha accompagnato fin qui la nascita e la prima fase di attuazione del progetto Sogin, con la proposta della CNAPI, appare poco comprensibile come sia stato possibile procedere fino allo stato attuale. Infatti sia i pareri delle commissioni ministeriali di controllo che il decreto  348 del 10/12/2018 avevano posto dubbi su molti, anzi moltissimi aspetti controversi e su evidenti criticità  riguardanti sia il Piano Nazionale per la gestione dei Rifiuti che le  successive tappe applicative. In particolare il citato decreto 348 aveva stilato una serie di ben 57 osservazioni, raccomandazioni, critiche, osservazioni per  le quali si richiedevano puntuali risposte. Tra queste, anche se mai era stato fatto un chiaro riferimento al problema della attinenza fra la progettualità del deposito e il rispetto delle guide tecniche sopra citate, una osservazione risultava chiara e pertinente: la Sogin doveva valutare concretamente la possibilità di rendere gli attuali siti di stoccaggio di materiale ad alta attività depositi di se stessi, applicando ovviamente criteri di maggiore sicurezza. Questi, come spiega la Sogin, sono o sarebbero soddisfatti dalla utilizzazione di  speciali contenitori, CASK, i quali pur collocati in un futuro DN PT, realizzato con criteri adatti allo smaltimento di rifiuti a bassa e media attività,  garantirebbero comunque una sicurezza, anche se in termini di “temporaneità di lunga durata” (sic), per un periodo di circa 100 anni. Le richieste formulate dalle sopra citate commissioni e  dal citato decreto 348 sono lecite:  se i CASK possono essere collocati in sicurezza nel DN PT, ancorché non adatto allo stoccaggio di materiale ad alta attività,  possono sicuramente stazionare negli attuali siti di deposito “temporaneo” fino alla soluzione finale del deposito geologico.

Nel dicembre 2020 Il governo ha  concesso alla Sogin la possibilità di pubblicare la CNAPI, nonostante stando alla documentazione ufficiale verificabile non esista traccia di risposta ai numerosi quesiti, oltre 50, enunciati nel decreto 348 del 10/12/2018.

La macchina si è quindi messa in moto: la Sogin ha fatto la sua parte, chi non è d’accordo potrà far sentire la sua voce attraverso lo strumento della Consultazione Pubblica e forse anche del Seminario Nazionale, semmai si sarà invitati alla discussione puntuale delle osservazioni.

La Consultazione  Pubblica e il Seminario Nazionale sveleranno le posizioni e le ragioni di chi, enti, associazioni e privati cittadini, avrà avuto voglia e determinazione nel voler far sentire la propria voce.

La sensazione attuale è che tutti i Comuni interessati saranno contrari e rimarcheranno tutti gli aspetti di ordine generale e specifico per i quali saranno identificate criticità, carenze  metodologiche o errori materiali nella applicazione dei criteri maggiormente seguiti, e cioè quelli della Guida Tecnica 29 dell’ISPRA, come richiesto dalla legge.

Tutto questo porterà a discussioni, attacchi e difese di posizione, che non dovranno comunque appannare o porre in secondo piano uno dei problemi, se non il problema, di maggiore rilevanza : la attinenza fra l’operato della Sogin e il dettato della legge 31, la reale corrispondenza fra i progetti della Sogin e le linee guida della Guida Tecnica 29 e della SSG 29 della IAEA.

L’evidenza dei fatti è incontrovertibile: il programma della Sogin è incompatibile in maniera assoluta con le prescrizioni delle due guide di riferimento: queste riguardano depositi di superficie, adatti ad accogliere rifiuti a bassa e media attività(limitatamente a quelli a vita breve) e in nessun modo si riferiscono a depositi che debbono contenere  rifiuti ad alta attività.

L’errore quindi è sostanziale e originario: tutto quanto ne è seguito, compresa la proposta della Carta Nazionale della Aree Potenzialmente Idonee è di fatto destituito di qualsiasi valore fattuale. Tutto il problema va rivisto: stando alla logica, allo stato attuale e volendo salvare quanto è possibile, il problema va ristretto esclusivamente alla gestione delle scorie radioattive a bassa attività e a quelle a media attività, purché a vita breve.  Tutto il resto, e cioè lo stoccaggio e il futuro smaltimento della scorie ad alta attività, fa parte di un altro problema, per il quale in Italia , come nel resto del mondo, non esiste attualmente alcuna concreta prospettiva se non quella di attendere, adeguando per quanto possibile la sicurezza degli attuali siti di stoccaggio,  la soluzione del deposito geologico di profondità, europeo o italiano che sia.  Deposito per il quale ora non esiste neanche la più vaga idea di collocazione e realizzazione e il cui orizzonte temporale è stimato in un arco di tempo non inferiore a 80-100 anni. Un periodo troppo lungo per convincere un territorio ad accogliere tutti i rifiuti radioattivi italiani ad alta attività(17.000 mc) in una unica sede che non ha e non può avere i criteri di sicurezza previsti.

Vale ricordare al proposito la frase dell’autrice del World Nuclear Waste Report -2019, Rebecca Harmas, che sintetizza in maniera folgorante la situazione attuale: “We can phase out nuclear power, but we cannot phase out the nuclear waste and its eternal risks.” - Possiamo eliminare  gradualmentel'energia nucleare, ma non possiamo eliminare gradualmente le scorie nucleari e i suoi rischi eterni.