Riceviamo e pubblichiamo un documento redatto dal Dott. Giovanni Ghirga, già Direttore della UOC di Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale San Paolo di Civitavecchia , attualmente Membro del Comitato Scientifico della Società Internazionale dei Medici per l’Ambiente (ISDE – Italia), inserito nelle osservazioni prodotte dal Comune di Tarquinia in opposizione alla scelta del territorio della Tuscia come potenzialmente idoneo ad accogliere il Deposito Nazionale dei Rifiuti Radioattivi.
Le osservazioni riguardano gli effetti dannosi derivanti dall’esercizio della Centrale a carbone di Civitavecchia con particolare riguardo alla possibile sinergia con i potenziali rischi di diffusione ambientale correlabili alla presenza e alla gestione del Deposito Nazionale, qualora fosse realizzato nel territorio della Tuscia.
Il documento evidenzia con chiarezza come l’alto rischio di contaminazione da radiazione naturale già presente nel territorio sia aumentato dalla attività della vicina Centrale a carbone di Civitavecchia, capace di rilasciare contaminanti in grado di produrre anche inquinamento da radiazioni.
Nella relazione si evidenzia anche il rischio concreto di alterazione e ammaloramento nel tempo delle strutture e dei manufatti adibiti alla conservazione delle scorie radioattive, favorito dalla particolare situazione geografica di siti di depositi radioattivi in vicinanza delle coste marine.
Infine viene ribadito il rischio di aumento ulteriore della incidenza delle leucemie, con particolare riguardo all’età pediatrica, patologie per le quali la Provincia di Viterbo già detiene un triste primato.
Il contenuto del documento rafforza ulteriormente le ragioni di opposizione dell’intera Tuscia all’accoglimento nel suo territorio del Deposito Nazionale di Rifiuti Radioattivi.
Secondo il rapporto UNSCEAR 2000 (Comitato Scientifico delle Nazioni Unite per lo Studio degli Effetti delle Radiazioni Ionizzanti) che è stato presentato in passato all’assemblea generale dell’Onu, la Tuscia è tra i cinque posti al mondo con maggior radioattività naturale di fondo, a causa di particolari rocce vulcaniche (tab. 1 e 2) (1,2). Il fondo di radioattività naturale della Tuscia è elevato: in media 2,4 millisievert (mSv). |
La maggior parte della radioattività naturale di fondo è dovuta alle radiazioni emesse dai materiali radioattivi che si trovano naturalmente nelle rocce e nel sottosuolo. In particolare, dal potassio-40, dal rubidio-87, dall’uranio e dal torio che generano il gas radioattivo radon. Ad aggravare lo stato di elevata radioattività naturale di fondo è intervenuta, negli ultimi 12 anni, la presenza di una grande centrale a carbone, distante solo pochi chilometri in linea d’aria da Tarquinia, la quale ha utilizzato, per la produzione di energia, circa 5.000.000 di tonnellate di carbone l’anno. La radioattività del carbone è potenzialmente pericolosa per l'uomo (a seconda della sua qualità). I livelli di radioattività emessi dal carbone sono bassi e non allarmanti, tuttavia sono cumulativi nel tempo e, da questo punto di vista, possono rappresentare comunque una minaccia che non dovrebbe essere ignorata (3,4). Quando il carbone viene lavorato in un impianto, emette diverse sostanze chimiche tossiche per l'ambiente come arsenico, cadmio, mercurio ed elementi radioattivi come l’uranio, il torio e i loro prodotti di decadimento. In combinazione con le tecnologie di “pulizia” del carbone, la quantità di radiazioni emesse dagli impianti che utilizzano questo combustibile nella produzione di energia, rimangono a bassi livelli. Ciò nonostante, qualità inferiori di carbone possono contenere quantità elevate di torio, mentre i livelli di uranio variano tipicamente fino a 10 ppm ed eccezionalmente fino all'ordine di 1000 ppm. |
Uno dei rischi ambientali derivanti dalla produzione di carbone è la sua cenere, il materiale inorganico rimasto dopo che tutta la materia combustibile è stata bruciata. Il problema con la cenere di carbone è come smaltirla in modo sicuro senza che danneggi l'ambiente perché contiene sostanze chimiche tossiche e uranio, torio e attinio. La cenere di carbone rilascia nell'atmosfera particelle di queste sostanze chimiche pericolose che sono dannose per le persone che le inalano.
Le ceneri leggere emesse da una centrale elettrica - un sottoprodotto della combustione del carbone per l'elettricità - emette nell'ambiente circostante circa 100 volte più radiazioni di una centrale nucleare che produce la stessa quantità di energia, questo per la protezione dedicata nelle centrali nucleari (5).
Le dosi stimate di radiazioni ingerite dalle persone che vivono vicino alle centrali a carbone sono state rilevate essere uguali o superiori alle dosi alle quali sono esposte le persone che vivono intorno agli impianti nucleari. Scienziati hanno stimato la radiazione di ceneri volanti nelle ossa di individui in circa 18 millirem l'anno. Le dosi per le due centrali nucleari di riferimento, al contrario, erano invece comprese tra 3 e 6 millirem, nello lo stesso periodo preso in esame. Quando tutto il cibo utilizzato è stato coltivato nell'area intorno alle fonti di emissione, le dosi di radiazioni erano dal 50 al 200 percento più alte intorno alle centrali a carbone.
Per comprendere questi valori, la persona media è esposta a 360 millirem di "radiazioni di fondo" annuali, sia da fonti naturali che artificiali.
Alti livelli di radioattività in queste zone, frutto della radioattività naturale di fondo e di una radioattività artificiale, legata alla esposizione decennale ai fumi derivanti dalla combustione del carbone, non possono essere ulteriormente aumentati dalla presenza del deposito unico per le scorie nucleari.
I rifiuti radioattivi sono chiusi all’interno di contenitori metallici (manufatti). Questi manufatti sono strutture a forma cilindrica o di parallelepipedo che contengono rifiuti radioattivi al loro interno, già condizionati in una forma solida, secondo una stabilità chimica e fisica che consente al manufatto stesso di essere movimentato e trasportato in sicurezza (6). Tuttavia, la corrosione a livello dell’interfaccia di diversi materiali barriera potrebbe essere notevolmente accelerata, cosa che non è stata considerata negli attuali modelli di valutazione della sicurezza e delle prestazioni. Recentemente è stata rilevata una grave corrosione localizzata a livello dell’interfaccia tra acciaio inossidabile e un modello di rifiuti nucleari in vetro e tra l’acciaio inossidabile e una forma di rifiuti in ceramica. La corrosione accelerata può essere attribuita a cambiamenti della chimica della soluzione e dell'acidità / alcalinità locale all'interno di uno spazio limitato, in modo significativo essa può alterare la corrosione sia dei materiali di scarto che dei contenitori metallici. La corrosione che viene accelerata a livello dell’interfaccia, per l’interazione tra materiali dissimili, potrebbe avere unimpatto profondo sulla integrità dei manufatti. |
Questi fenomeni di corrosione, pertanto, dovrebbero essere attentamente considerati nella valutazione delle prestazioni dei manufatti in termini di perdita di radioattività nell’ambiente circostante. Dobbiamo sempre tener presente che questi rifiuti possono rimanere pericolosamente radioattivi per molte migliaia di anni (7).
Schindelholz, insieme a ricercatori dell'Ohio State e del Sandia National Laboratories, stanno sviluppando un modello che può essere utilizzato per prevedere quando, come e dove i manufatti potrebbero rompersi. Il modello include input derivati dagli studi di elettrochimica e di microscopia che analizzano la vaiolatura, l'inizio di crepe e gli effetti dell'umidità relativa , sulla morfologia e sulla distribuzione sull’acciaio inossidabile esposto alle atmosfere marine (8) in zone come Tarquinia, la quale si trova a pochi chilometri in linea d’aria dal mare.
La vicinanza alla costa significa esposizione ad aerosol di sale marino. Spesso a causa del design dei manufatti che blocca la radiazione ma consente il flusso d'aria, per il raffreddamento, tra i cilindri di acciaio e i silos di cemento, gli aerosol possono raggiungere le superfici dei cilindri. Le particelle di sale, che sono igroscopiche e deliquescenti, possono depositarsi sulle saldature del contenitore e su altri giunti sollecitati, assorbire l'acqua atmosferica, dissolversi e formare salamoie corrosive ricche di cloruri. Queste condizioni potrebbero portare a piccole crepe che potrebbero far cedere un manufatto e far rilasciare materiale e radiazioni nocive (7).
Infine, vale la pena mettere in evidenza il rischio di leucemia infantile anche in seguito alla esposizione a bassi livelli di radiazioni, quali quelli che sono presenti intorno alle centrali nucleari. (9)
In conclusione, la zona della Tuscia, in particolare il comune di Tarquinia, non può essere presa in considerazione come sito idoneo al deposito unico di scorie nucleari. Questo territorio è già stato martoriato per oltre mezzo secolo dalla presenza di industrie energetiche molto inquinanti, le quali hanno costretto la popolazione a pagare un prezzo molto caro in termini di salute, di ambiente e di economia territoriale. Nella Valutazione di Impatto Ambientale per la Centrale a Carbone di Torre Valdaliga Nord, a pag. 16,17 si legge: “In base all'andamento delle emissioni di particolato, riportati da ENEL per il periodo 1996-2001, si può tuttavia presumere che le concentrazioni di tali inquinanti, anche se non imputabili esclusivamente ad ENEL, siano state in passato ancora superiori, lasciando prefigurare una esposizione pregressa della popolazione a livelli non accettabili”.
In fede
Dr. Giovanni Ghirga
Pediatra
Già Direttore FF della UOC di Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale San Paolo di Civitavecchia. Membro del Comitato Scientifico della Società Internazionale dei Medici per l’Ambiente
(ISDE – Italia)
Bibliografia
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1) Sources and Effects of Ionizing Radiation. United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation UNSCEAR 2000 Report to the General Assembly, with Scientific Annexes VOLUME I: SOURCES. https://www.unscear.org/docs/publications/2000/UNSCEAR_2000_Report_Vol.I.pdf
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2) Natural Radioactivity Exposure: Risk Assessment of Workers in Italian Quarries E. Marchetti1 , R. Trevisi1 , S. Tonnarini1 , C. Orlando1 , M. Bruno2 , M. Amici2 , C. Paolelli2 , B. M. Antonelli3 , E. Incocciati3 , F. Nappi3 , P. La Pegna3 1 Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del lavoro (ISPESL) – Department of Occupational Hygiene – Monteporzio Catone (Rome), Italy 2Università Cattolica del Sacro Cuore UCSC – Central Service of Radioisotopes – Rome, Italy 3 Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) – Technical Advisory Department for Risk Assessment and Prevention (CONTARP) – Rome, Italy.
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3) Coal Radioactivity Emissions. Foster Langsdorf
March 23, 2017. Submitted as coursework for PH241, Stanford University, Winter 2017. -
4) J. Tadmor, "Radioactivity From Coal-Fired Power Plants: A Review," J. Environ. Radioactiv. 4, 177 (1986).
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5) Mara Hvistendahl. Coal Ash Is More Radioactive Than Nuclear Waste. By burning away all the pesky carbon and other impurities, coal power plants produce heaps of radiation. Scientific American. December 13, 2007.
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6) https://www.depositonazionale.it/deposito-nazionale/pagine/che-cose-il-deposito- nazionale.aspx
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7) Mitch Jacoby. As nuclear waste piles up, scientists seek the best long-term storage solutions Researchers study and model corrosion in the materials proposed for locking away the hazardous waste. Chemical & Engineering. March 30, 2020 | APPEARED
IN VOLUME 98, ISSUE 12. -
8) Timothy D. Weirich et al. Humidity Effects on Pitting of Ground Stainless Steel Exposed to Sea Salt Particles. 2019 J. Electrochem. Soc. 166 C3477.
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9) Ghirga G. Cancer in children residing near nuclear power plants: an open question. The Italian Journal of Pediatrics. 2010;36:60.