Si è conclusa il 10 novembre la sessione del Seminario Nazionale indetta da Sogin per recepire le osservazioni degli Enti, Istituzioni, Comitati e Associazioni della Provincia di Viterbo sul tema del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi (DN).
Le osservazioni, sia riguardo ai temi che alle modalità di presentazione, dovevano seguire un rigido protocollo fissato dalla stessa Sogin.
Gli argomenti dovevano riguardare il Progetto Nazionale, la CNAPI, la carta Nazionale della Aree Potenzialmente Idonee pubblicata il 5 gennaio di quest’anno, ed una lunga serie di specifici documenti indicati da Sogin stessa. Circa le modalità, la regola ferrea imposta prevedeva che ogni relatore esponesse le proprie osservazioni in 10 minuti e con l’ausilio di 5 diapositive.
Al termine della presentazione nessuna possibilità di dibattito in contraddittorio: soltanto la possibilità di inviare domande tramite mail. I rappresentanti della Sogin, invece, capitanati dall’ineffabile ing. Chiaravalle, potevano commentare in libertà e senza contraddittorio i contenuti delle osservazioni.
Sono state fatte al riguardo precise istanze alla Sogin: concedere almeno 15 minuti ed un numero adeguato di diapositive, concedere uno spazio di discussione in diretta al termine delle presentazioni, formulare un verbale approvato dalle parti. Questo avrebbe conferito maggiore trasparenza all’evento e quanto meno un certo equilibrio e garantismo. Infatti non poter controbattere i commenti della Sogin è un vulnus palese al valore della discussione, non poter fruire di un verbale condiviso e ufficializzato dalla approvazione delle parti sottrae elementi obbiettivi e giuridicamente validi ad un dibattito, i cui esiti avrebbero potuto incontrare il desiderio di rivalse anche giudiziarie sull’esito finale da parte degli stakeholder. Infatti, la partecipazione dovrebbe servire a cambiare eventuali storture o errori di valutazione o impostazione da parte di Sogin nella stesura della CNAPI. Tutti coloro che a vario titolo hanno presentato osservazioni avevano come scopo quello fondamentale di ottenere qualche cambiamento. In particolare tutti miravano a far eliminare le aree potenzialmente idonee, ritenute errate nella scelta di Sogin, dalla lista nera della CNAPI, al fine di non entrare nella short list della CNAI, la Carta delle Aree Idonee. Infatti, una volta inseriti nella CNAI e giudicati effettivamente idonei ad accogliere il DN, uscirne diventa difficilissimo e la relativa battaglia quasi impossibile.
Questo obbiettivo, tuttavia, restando con i piedi per terra e tenuto conto di quanto gravita intorno al problema del DN era ed è difficilissimo da raggiungere. Chi ha prodotto le osservazioni lo ha fatto seriamente: in particolare i Comitati e i pochi Comuni che hanno partecipato al Seminario hanno speso risorse economiche per ingaggiare professionisti in grado di analizzare con competenza l’enorme quantità di documenti prodotti da Sogin e di formulare critiche e osservazioni tecnicamente valide. Questo pur sapendo che la battaglia era difficilissima se non impossibile, ma consci che ad oggi era l’unica possibilità tecnica per poter confutare le scelte della Sogin.
Per chi ha partecipato, l’impegno è stato massimo e degno di rispetto. Sarà interessante verificare entro il prossimo mese cosa accadrà: chi sarà stato salvato e chi no.
Sulla base degli interventi provenienti dalla altre Regioni, ad oggi manca soltanto una seduta al termine del Seminario, quella dedicata al Piemonte, le cui osservazioni sono comunque pubblicate, tutti gli stakeholder di sono opposti alla CNAPI e tutti hanno presentato osservazioni puntuali e degne di rilievo e comunque dotate di consistente credibilità tecnica.
Analizzando i soggetti che hanno partecipato al Seminario, tuttavia, non si può trascurare un paragone fra Lazio, e segnatamente la Provincia di Viterbo, e le altre Regioni.
Stando alla partecipazione diretta delle singole amministrazioni regionali, il confronto fra Lazio e il resto d’Italia è imbarazzante. Le altre Regioni ci hanno messo la faccia; si sono presentate ed hanno prodotto osservazioni supportate da professionisti, professori universitari, tecnici, scienziati opportunamente scelti ed anche pagati, che hanno consentito di produrre una documentazione che a prescindere dall’esito finale è la dimostrazione plastica dell’interesse che questi Enti hanno dimostrato nei confronti dello spinoso problema.
La Regione Lazio aveva presentato una documentazione striminzita, priva di qualsiasi significato tecnico, finalizzata esclusivamente alla richiesta di chiarimenti. Non è possibile attribuire alle osservazioni della Regione Lazio neppure un significato politico: non c’è materia. Se soltanto si fosse dichiarata almeno una opposizione, pure di principio, sarebbe stata almeno la testimonianza di una posizione. Tutto questo non c’è. La Regione Lazio non ha neanche partecipato alla seduta del Seminario Nazionale per la presentazione delle osservazioni: non ha avuto neanche l’ardire di inviare un rappresentante per sostenere una tesi. Fa sorridere il fatto che analizzando i documenti inviati dalla Regione Lazio, come detto privi di qualsiasi significato tecnico, siano stati allegati gli ordini del giorno della seduta del 19 gennaio scorso che erano di tenore contrario all’operato della Sogin riguardo al territorio regionale. Peccato che i buoni propositi degli ordini del giorno, che non solo dimostravano dissenso dall’operato della Sogin ma che avrebbero dovuto impegnare la Regione a presentare le osservazioni, siano stati completamente elusi. Il risultato di quegli ordini del giorno è stato un completo fallimento: le osservazioni non sono di fatto state presentate, almeno osservazioni di contenuto tecnico come era necessario e doveroso, e, fatto più grave, non c’è stata alcuna manifestazione di dissenso. A riprova di questo distacco dal problema nessun rappresentante della Regione si è presentato alla seduta del Seminario per esprimere un parere o confutare anche una sola delle scelte della Sogin , compito al quale sembrava essere stata invitata dai famosi ordini del giorno.
Così la Regione Lazio se l’è cavata: non essendo presente non ha confutato né approvato nulla. Il problema non esiste e non prendere posizione lascia aperta qualsiasi possibilità futura.
A seconda di come tirerà il vento , si potranno assumere atteggiamenti di comodo e trarre il massimo vantaggio dai futuri scenari.
Se mai le scelte per qualche miracolo dovessero cadere su qualche area fuori dal Lazio, cosa altamente improbabile stando alla statistica, si potrà sempre dire che comunque la Regione Lazio era stata contraria, come quegli ordini del giorno allegati dicono anche se nella realtà sono la dimostrazione del loro più completo fallimento. Se invece non si identificherà nessuno al di fuori del Lazio, e se si arriverà al punto previsto dalla attuazione della normativa, per cui il Governo e la Regione di competenza, il Lazio in questo caso sembra la più probabile, dovranno adoperarsi per convincere uno o più Comuni ad accettare le proposte per l’accoglimento del DN, allora forse gli avvenimenti fin qui accaduti potranno essere valutati sotto un’altra lente.
Come sarà infatti possibile non pensare che l’atteggiamento tiepidissimo della Regione Lazio, o le esternazioni di alcuni suoi rappresentanti, fossero coerenti con un esito finale noto a pochi.
La Regione Lazio, come entità politica, avrà molte armi per ribaltare la questione: l’essere stata assente nella fase decisionale iniziale, lasciando soli i Comuni, passerà subito in secondo piano rispetto alle garanzie di cui essa si vorrà fare portabandiera e garante nella fase della scelta finale.
Quanti e quali vantaggi saranno sbandierati per favorire il Comune che dovrà sacrificarsi, la cui attuazione sarà vigilata e garantita dalla benevola e rassicurante protezione della Regione, che potrà dimostrare in tutta la sua enfasi la capacità di difendere a spada tratta gli interessi dei suoi Comuni, una volta che l’inevitabile sarà accaduto?
Se la Provincia di Viterbo è indicata come possibile sede di 22 Aree Potenzialmente Idonee, record nazionale assoluto di idoneità, che attribuisce a questo territorio oltre il 30 % delle Aree Potenzialmente Idonee e se in realtà le aree di interesse si riducono a 25, essendo tutte le altre di fatto escluse per motivi di sismicità o perché localizzate sulle Isole maggiori, ritenute troppo difficili e costose da raggiungere, le possibilità che la short list della CNAI includa nella stragrande maggioranza se non in esclusivamente soltanto aree viterbesi è assolutamente probabile.
La posizione dei Comitati, delle Associazioni , dei pochi Comuni che si sono presentati al Seminario e della Provincia di Viterbo, unico ente pubblico di rilievo che ci ha messo la faccia, è di chiara opposizione sostenuta dai pareri di oltre 50 professionisti che hanno assistito gli stakeholder nella formulazione delle osservazioni.
Chi si sta opponendo non è un provinciale retrogrado che vuole lontano dal suo giardino quei problemi che invece debbono essere affrontati dalla Nazione nell’interesse di tutti. La posizione presa è tutt’altro che facile oltre che faticosa: lo scontro con l’apparato della Sogin e in definitiva dello Stato è impari, non fosse altro per imponenza di mezzi economici e tecnici disponili dalle parti.
Non si può non considerare ad esempio la posizione di alcuni sindaci che da qui a poco saranno strattonati da una parte dai referenti politici di superiore grado, che cominceranno ad uscire allo scoperto cavalcando il facile ruolo dei benpensanti, dei ligi al dovere, “dell’Europa lo vuole”, degli informati consiglieri sul da farsi per il bene ”economico” del territorio, mentre dall’altra dovranno affrontare i mugugni di quei cittadini, pochi fino ad oggi, che conoscono magari anche superficialmente il problema ma che si sono convinti del danno che il DN porterà alla economie locali.
Situazione difficile, ma ben congegnata. La scelta di puntare molto , se non quasi esclusivamente, sulla Provincia di Viterbo ha le sue brave ragioni. La storia deli ultimi 50 anni parla chiaro: la Tuscia, un territorio anti-industriale per antonomasia, ha subito in 5 decenni tutto quanto di negativo poteva subire dalle iniziative dello Stato e dell’Enel in campo “industriale”.
A partire dallo scellerato progetto nucleare di Montalto di Castro, non ci si è più fermati. Il referendum indetto dopo Cernobyl sembrava aver liberato la Provincia da un incubo. Ma era un fuoco di paglia: la riconversione della mai realizzata centrale nucleare a centrale policombustibile, rappresentò un capolavoro. Con una legge anticostituzionale, incredibilmente passata sotto silenzio, fu concesso di realizzare una centrale policombustibile di 3470 megawatt, un mostro che insieme al polo energetico di Civitavecchia, oggi ben saldo sul carbone, ha reso 25 km di costa italiana, tutta quella appartenente alla Provincia di Viterbo, uno dei siti più inquinati di Italia.
Lo scorso anno, sembrava che finalmente quella centrale dovesse essere dismessa , abolendo così definitivamente un progetto malsano, inquinante e antieconomico, e riconducendo al green field quel sito martoriato. Anzi si parlava già di grandiosi progetti a sfondo turistico e culturale con i quali riqualificare quel settore di territorio. Ma tutto è durato pochissimo: oggi il programma prevede che la centrale venga ripotenziata a gas: soltanto duemila megawatt. Certo si fa fatica ad opporsi : occorre energia, e il gas è un pò meno peggio del policombustibile, ma l’inquinamento persisterà, anche se a livelli un pò più bassi. Questo non interromperà quella catena di eventi ambientali che concorrono a porre questa Provincia in uno stato di allerta rispetto alla incidenza di tumori maligni.
Ma tant’è: all’Enel piace vincere a mani basse da quelle parti. Perciò perché non pensare anche ad altro già che ci siamo, un bel Deposito per i rifiuti radioattivi. Ormai non c’è più alcun senso della compensazione: un territorio che ha già subito per decenni l’insulto di una centrale enorme ed obsoleta, rischiosa per la salute, antieconomica, avrebbe pur potuto essere esentata anche dalla sola possibilità di altre scelte, come appunto quella del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Neanche è bastata a contenere le mire energetiche sul territorio la estesa propensione all’accoglimento di impianti fotovoltaici, che stanno consumando progressivamente migliaia di ettari di suolo agricolo, deformando il paesaggio. Certo meglio questo che altro: ma neanche questo, che di fatto rappresenta una servitù del territorio a favore degli interessi nazionali nel settore della produzione dell’energia, riesce a frenare o a compensare le mire sul territorio.
Non basta il potenziamento della Centrale di Pian dei Gangani, non bastano le migliaia di ettari di fotovoltaico, destinate peraltro a d aumentare nei prossimi mesi, a mitigare l’interesse per questa vessata provincia. Oggi il fantasma del Deposito Nucleare aleggia imperterrito. Ma potrebbe non essere l’unico presagio funesto: da settimane sia da parte del ministro della Transizione Ecologica, che da parte di alcuni politici, per la verità inaspettatamente, si ricomincia a parlare di centrali nucleari. Basta dire di IV generazione, che tutti sono concordi : non inquinano, sono sicure. Sono verdi. Non emettono CO2 (falso!). Sarebbe interessante davvero capire quanto i politici che ne parlano disinvoltamente realmente sappiano di questa tecnologia. Così come sarebbe utile sapere quanto realmente sappiano del Deposito Nucleare in gestazione.
Siamo dunque alla fine della prima tappa del viaggio verso la realizzazione del Deposito Nazionale: attendiamo la CNAI e vediamo chi resterà nella rete fra i Comuni in ballo.
La politica nicchia, molti sindaci sembrano disinteressati; per ore la bandiera del dissenso è in mano ai Comitati e alle Associazioni, e ad alcuni sindaci coraggiosi.
Tutti troppo soli e in condizioni di inaccettabile disparità.
La strada giudiziaria si profila all’orizzonte come unico ed estremo mezzo per poter fronteggiare soluzioni ritenute ingiuste.
I tempi sono sempre più ristretti per poter coordinare azioni concrete e comuni.
Ma l’Italia è pur sempre una Repubblica in cui la libertà e i diritti possono essere difesi specie se fondati su giuste ragioni. E alla fine occorre credere anche nella politica di alto rilievo o quanto meno in quei rappresentanti dello Stato che possono assumere decisioni difficili e coraggiose basate sull’equilibrio più corretto fra legge, tecnicismo, interesse nazionale ma anche rispetto delle minoranze.
A volte chiamare in causa i potenti della politica che conta, direttamente, senza intermediari, nella consapevolezza delle proprie giuste ragioni, può assumere un significato etico e pratico di gran lunga superiore rispetto alla intermediazione della politica territoriale e alla pratica della opposizione giudiziaria. A volte un appello giusto e sorretto dalla volontà e dalla franchezza dei rappresentanti dei territori può anche ottenere successo e riequilibrare ingiustizie. A questo servono i vertici dello Stato: a volte sono chiamati o potrebbero essere chiamati a decisioni non intermediate dagli organi istituzionali ma direttamente richieste da chi si trova a subire situazioni ingiuste. In questo si può anche credere e sperare.