Dalla pubblicazione della CNAPI, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente idonee alla realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi (DN), avvenuta il 5 gennaio del 202, i territori nei quali sono stati identificati i siti idonei ad accogliere la struttura, dibattono sulla proposta del deposito unico e si impegnano, sia a livello tecnico che sociale, a controbattere il Programma Nazionale di smaltimento dei rifiuti radioattivi proposto da SOGIN.
La contrapposizione al progetto SOGIN risulta ormai chiaramente esente dalla scontata sindrome Nimby, tirata in ballo con noiosa reiterazione da quella frangia di sostenitori del nucleare, che, all’opposto, sostengono l’assoluta sicurezza di ogni iniziativa che nel settore nucleare possa essere attuata in Italia, appunto sotto l’egida della SOGIN.
La fase attuale di realizzazione del Programma Nazionale di smaltimento dei rifiuti radioattivi vede il MASE, il Ministero dell’Ambiente e dello Sicurezza Energetica, impegnato nella procedura di VAS (Valutazione Ambientale Strategica) sulla proposta della CNAI, cioè della Carta Nazionale delle Aree Idonee, sempre proposta da SOGIN.
La CNAI prevede attualmente 51 aree Idonee rispetto alle 67 aree potenzialmente idonee della proposta originale (CNAPI), di cui 21 identificate nella sola Provincia di Viterbo.
Nel corso dei quattro anni che intercorrono fra la pubblicazione della CNAPI e la fase odierna di attuazione del Programma Nazionale, sono accaduti eventi di portata internazionale, con specifico riferimento al conflitto in Ucraina, che hanno dato la stura alle più ampie e fantasiose riflessioni sulle strategie energetiche dei paesi europei, ma in particolare dell’Italia.
L’Europa, già impegnata, unica nell’orbe terraqueo, in una crociata per la decarbonizzazione, ha impegnato gli stati membri ad una serie di iniziative che obbligano alla riduzione progressiva, forse eccessivamente precipitosa, della utilizzazione delle tecnologie tradizionali di motorizzazione e produzione di energia elettrica, al ricorso massivo alle energie rinnovabili e al riconoscimento del nucleare come fonte di energia rinnovabile.
Grazie a questa posizione intransigente, che ha obbligato, con aggiustamenti progressivi, gli stati membri alla predisposizione di piani energetici sempre più dipendenti dallo sviluppo delle FER, si è cominciata a far strada nelle varie nazioni europee il convincimento della ritorno o del potenziamento della utilizzazione della tecnologia nucleare, quale fonte di energia adatta alla transizione energetica verso non si sa quale futuro paradiso in grado di produrre energia senza inquinamento.
Con il passare dei mesi, sotto la spinta delle conseguenze della guerra ucraina e degli interessi commerciali di paesi produttori di fonti energetiche, come il gas, interessati a sostituirsi nel mercato al posto della Russia, l’ulteriore spinta al ritorno al nucleare come fonte di produzione di energia civile è stata la normale conseguenza.
Per quanto riguarda l’Italia, che si era tirata fuori dal nucleare con due referendum, quello del 1986, dopo Chernobyl, e quello del 2011, dopo Fukushima, l’ipotesi del ritorno alle centrali nucleari ha cominciato a farsi strada in commistione con l’obbligo dello smaltimento nell’ambito del territorio nazionale dei rifiuti nucleari, sostenuto dalla direttiva Euratom 2011/70
Il ripristino di piani energetici a base nucleare chiuderebbe così un cerchio virtuoso, dalla produzione di energia da nucleare allo smaltimento in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti da questa tecnologia.
A fronte di questa visione velleitaria del problema, che vede la Francia capolista anche nella sua veste di maggiore produttore di energia da nucleare, Germania e Spagna sono, invece, recentemente uscite dal nucleare, proprio in considerazione degli attuali limiti di sicurezza correlati alla gestione dei rifiuti radioattivi e degli enormi costi da sostenere per il decommissiong e lo smaltimento.
Le centrali, e non solo, producono rifiuti ad alta attività, che necessitano di depostiti geologici di profondità per lo smaltimento in sicurezza. Depositi oggi inesistenti, fatta eccezione per quello di Onkalo in Finlandia, che sarà inaugurato nei prossimi mesi.
Da ultimo esiste un problema economico, le cui dimensioni incombono con proporzioni quasi inimmaginabili sulla gestione dei rifiuti radioattivi.
Nella sola Europa si prevede la necessità di smaltire 9,6 milioni di metri cubi di scorie radioattive con stime variabili dai 400 a i 900 miliardi.
La Francia, che detiene 24 centrali nucleari da 63.000 MW di potenza complessiva, dovrà fare i suoi conti.
L’Italia, nel suo piccolo, deve smaltire 17.000 mc di scorie ad alta attività, in massima parte rappresentate da rifiuti radioattivi correlati al decommissioning delle sue vecchie quattro centrali, che complessivamente erano in grado di erogare soltanto 1.423 MW. Il programma italiano di smaltimento, pur in assenza della individuazione di un sito geologico per la gestione dell’alta attività, prevede già oggi alcuni miliardi di euro di spesa.
Fatte le debite proporzioni, si comprende anche la posizione cauta dei due paesi europei a più alta attività nucleare, Spagna e Germania. Questa, che rappresenta la seconda potenza nucleare d’Europa, è rimasta scottata dai danni ingentissimi prodotti al sistema idrogeologico della Bassa Sassonia, con il tentativo andato a male di collocare materiale radioattivo in una miniera di salgemma. Risultato: occorre impegnare una grande quantità di danaro pubblico per ripristinare il danno ecologico oltre che una quantità non ancora definita per smaltire/stoccare le scorie ad alta attività che si produrranno con il decommissionig delle sue obsolete centrali nucleari.
Tenendo conto della quantità di scorie da smaltire, l’Italia si trova attualmente in una posizione vantaggiosa rispetto alle altre nazioni europee, riguardo alla complessità dei problemi di smaltimento dei rifiuti ad alta attività e in prospettiva , riguardo al peso economico delle procedure necessarie.
Ma la fantasia supera spesso la realtà e in Italia, in controtendenza alla posizione di due delle maggiori potenze industriali dell’UE, si intende ritornare alle centrali nucleari, in particolare sulla base del costo ingravescente dell’energia e magari anche grazie alla realizzazione di un deposito, “sicuro”, come viene garantito da SOGIN.
Al di là delle valutazioni sulla “sicurezza”, messa in dubbio dal progetto SOGIN che prevede la presenza nello stesso deposito di rifiuti a bassa, media ed alta attività, la fattibilità di un programma che riguardi il ritorno al nucleare confligge con una serie di problemi di varia natura, ad oggi ancora insufficientemente rappresentati.
Tenuto conto della realtà italiana, la realizzazione di un progetto di ritorno alle centrali nucleari cozza contro una sensazione diffusa di percezione del rischio, che ha trovato palese riscontro negli esiti dei due referendum antinucleari, che hanno determinato la fuoriuscita dal nucleare. Fatto che impone una valutazione anche di ordine giuridico-costituzionale sulla validità ed efficacia nel tempo dei precedenti referendum e sul rischio concreto di ulteriori ricorsi referendari.
Si parla di tecnologie innovative e di piccole centrali, dotate di reattori di bassa potenza, oscillante fra il 200 de i 500 MW. Se già oggi la realizzazione del DN trova un forte e progressivo contrasto da parte dei territori indicati nella CNAPI/CNAI, lo stesso, e forse con maggiore determinazione, si verificherà quando si proporranno multiple centrali, necessarie a produrre quel minimo di potenza che renda un progetto nazionale credibile.
Un banale paragone può rendere l’idea: la centrale nucleare di Montalto di Castro, mai terminata, avrebbe avuto una potenza di 1960 MW, pari a quella che si potrebbe, ottenere costruendo in Italia 10 centrali da 200 MW.
Costi e tempi necessari per realizzare multiple centrali nucleari sembrano oggi una chimera irrealizzabile nel contesto italiano.
La storia italiana ha dimostrato come il fallimento del nucleare abbia creato l’inizio di un declino economico del quale ancora si pagano le conseguenze, posto che il costo per la realizzazione della centrale nucleare di Montalto di Castro fu superiore ai 20.000 miliardi di lire.
Reiterare un percorso che già è risultato fallimentare e che rischia di essere contrastato ulteriormente, con prolungamento imprevedibile dei tempi di attuazione e un aumento dei costi programmati , abituali per la realtà italiana, risulta discutibile e rischia di consegnarci in futuro una situazione che risulterebbe superata dagli eventi e da nuove tecnologie.
Dal punto di vista della tecnico, posto che si tratta comunque di tecnologia basata sulla fissione, nulla cambierebbe rispetto al passato e il problema delle scorie resterebbe sempre lo stesso, posto che lo smaltimento dei rifiuti ad alta attività ad oggi resta irrisolto, almeno in Italia.
Inoltre, l’apporto complessivo alle necessità energetiche risulterebbe comunque troppo basso per essere compensato dai costi e dalle obbiettive difficoltà di attuazione.
A fronte di queste considerazioni, SOGIN, deputata per legge alla gestione del nucleare italiano, e fautrice del Programma Nazionale di smaltimento dei rifiuti radioattivi, si propone per un’ulteriore impresa “nucleare”, orientando il governo verso soluzioni che non mancheranno di sollevare le più aspre critiche e ulteriori problemi di intolleranza nei vari territori che saranno presi di mira.
Un recente Comunicato Stampa di SOGIN, integralmente riportato, illumina più di qualsiasi altra considerazione il pensiero” nucleare” della Società e il panorama cui vorrebbe spingere il governo.
COMUNISATO STAMPA SOGIN
Artizzu (AD Sogin): Per un ritorno al nucleare mettiamo a disposizione i siti delle nostre centrali
Milano 14 aprile 2025. "Smantellare una centrale nucleare significa prima di tutto confinare ciò che è radioattivo rispetto alla biosfera e rispetto alle attività umane. Confinare significa rendere ciò che è pericoloso, le radiazioni, innocuo nel senso che si riduce via via, con una serie di attività, la pericolosità per l'ambiente". Lo ha dichiarato l’Amministratore Delegato di Sogin, Gian Luca Artizzu, nel corso dell’evento di questa mattina organizzato dalla Lega: “Il nucleare sostenibile: l’Italia riparte!”, in cui ha illustrato le attività che Sogin svolge.
“Per un ritorno al nucleare, oltre alle sue competenze, Sogin mette a disposizione i siti delle vecchie centrali che stiamo smantellando. Noi smantelliamo gli impianti – ha proseguito Artizzu - non smantelliamo i siti. Questi sono stati progettati e manutenuti come siti per ospitare una centrale nucleare e sono la naturale destinazione per un futuro nuovo impianto".
“Il primo peccato del nucleare è non farlo lavorare” – ha continuato Gian Luca Artizzu, riprendendo il concetto espresso in apertura dei lavori da Edoardo Ventafridda, Fondatore di Giovani Blu. “Pensiamo alla centrale di Caorso: ha lavorato meno di cinque anni e ha prodotto 30 miliardi di kilowattora. Oggi, se non l’avessimo fermata con il referendum di allora, staremmo discutendo dell’allungamento dell’esercizio di questa centrale, come sta avvenendo nel mondo per impianti simili”.
Al panel di confronto, moderato da Fabio Tamburini, Direttore del Sole 24 Ore, sono intervenuti: Flavio Cattaneo, Amministratore Delegato di Enel Group, Claudio Descalzi, Amministratore Delegato di Eni, e Fabrizio Fabbri, Amministratore Delegato di Ansaldo Energia.
Diversi i rappresentanti istituzionali, politici ed esperti che hanno partecipato all’evento aperto da Vincenzo Pepe, Responsabile Nazionale Dipartimento Ambiente della Lega assieme ad Armando Siri, Coordinatore Nazionale Dipartimento Lega e al Viceministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Vannia Gava. I lavori sono stati chiusi dal Vicepresidente del Consiglio e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini.
Dalla lettura del comunicato emergono alcuni aspetti che meritano un breve commento.
L’affermazione dell’AD Artizzu riguardo al fatto che lo smantellamento delle centrali non significhi anche smantellamento dei siti delle stesse, confligge con quanto reiteratamente affermato anche durante il Seminario Nazionale dai più qualificati rappresentanti della SOGIN.
Il mantra della questione era che l’attuazione di progetti di “green field “sui siti delle vecchie centrali era indispensabile per riportare al naturale il territorio compromesso e ricompensare le popolazioni coinvolte dai disagi sostenuti per gli anni di attività degli impianti. Necessità ritenuta prioritaria rispetto a qualsiasi altra utilizzazione, con particolare riferimento alla possibilità di utilizzare le sedi delle vecchie centrali come depositi radioattivi, specie per le scorie ad alta attività, in attesa di un deposito geologico. Fatto che, invece, viene seguito da molte nazioni europee che affrontano il problema dello stoccaggio in sicurezza delle scorie ad alta attività derivanti dal decommissioning.
Oggi, improvvisamente si cambia idea: non più l’applicazione della teoria etica del “green field”, ma nuove centrali nucleari per buona pace di quelle popolazioni.
Infine, c’è di che rallegrarsi se i referendum hanno a suo tempo messo fine al nucleare in Italia, altrimenti oggi staremmo anche a discutere del prolungamento dell’attività delle vecchie centrali oltre quei limiti temporali da sempre ritenuti necessari per la sicurezza ambientale. Limiti attualmente considerati superabili, forse troppo superficialmente, dal Presidente Macron, che prolunga la vita delle centrali francesi nel tentativo di salvare una produzione di energia basata essenzialmente sul nucleare e di procrastinare il problema del decommissioning delle centrali obsolete, lasciandolo in eredità ai futuri presidenti che dovranno affrontare una questione strategica per la nazione e che di anno in anno assume proporzioni sempre maggiori.
L’Italia ancora può sottrarsi alle complesse problematiche del ritorno al nucleare e formulare piani strategici meno rischiosi per l’ambiente e per l’economia nazionale, valutando opportunamente nuove tecnologie, nuovi combustibili e quant’altro la ricerca potrà indicare, utilizzando al meglio le risorse disponibili ed evitando gli sprechi del passato nel miraggio del nucleare come fonte di energia civile.
La produzione di energia da nucleare rappresenta oggi una tecnologia obsoleta, ancora troppo rischiosa e costosa , destinata ad accumulare per il futuro problemi di ordine ambientale ad oggi difficilmente dominabili e prevedibili.
Angelo Di Giorgio